La matematica delle api

La matematica delle api

Com’è noto, le cellette delle api sono esagonali e sappiamo che in questo modo il piano può essere tassellato minimizzando, a parità di area della singola cella, il perimetro delle celle e quindi la quantità di cera utilizzata. La tassellatura esagonale richiede un consumo di cera del 18% inferiore rispetto a quella triangolare e del 7% inferiore rispetto a quella quadrata.
La cera è una sostanza rara e dispendiosa: 1 kg di cera richiede il lavoro di secrezione di circa 150'000 api ed il consumo di ben 12 kg di miele. È quindi essenziale che la quantità di cera impiegata per fare gli alveari sia la minore possibile e la quantità di miele contenuta la maggiore possibile.
Ma… il fondo delle cellette come è fatto? Forse non tutti sanno che… non è piatto, è formato da tre rombi. Così, i due tipi di cellette che hanno aperture in direzioni opposte, non sono separate da un piano, come uno si aspetterebbe, ma da una superficie a zigzag. I prismi esagonali da una parte sono sfalsati rispetto a quelli dall’altra parte.
Keplero aveva dedotto dalla simmetria e dalla proprietà di riempire lo spazio di un alveare che i suoi angoli dovevano essere quelli del dodecaedro rombico, ma la scoperta passò inosservata.
Anni dopo, Giacomo Maraldi (1665-1729) si diede allo studio degli alveari e realizzò il primo alveare con una parete di vetro per potere osservare le api all’opera. Nel 1712, misurò gli angoli dei rombi trovando che gli angoli ottusi erano circa di 110°, ricavando, supponendo forme simili a quelle di un dodecaedro rombico, che fossero di 109°28' (lo stesso angolo che formano lamine di sapone in una gabbia tetraedrica), e quindi gli angoli acuti di 70°32'.¹
René de Réaumur (1683-1757) (quello della scala dove l’acqua bolle a 80°) ipotizzò che questa regolarità dei rombi fosse legata alla minimizzazione della superficie del fondo e quindi del quantitativo di cera necessario per costruirlo. Senza menzionare il motivo scrisse a diversi matematici chiedendo: «Dato un recipiente esagonale che termina con tre rombi, quali sono gli angoli che danno il volume maggiore con la minore quantità di materiale?». L’unico che gli rispose fu Johann Samuel König (1712-1757) che con il calcolo infinitesimale nel 1739 trovò che la soluzione ottimale presentava rombi con angoli di 70°34' e 109°26', misure che differiscono leggermente dalle misure di Maraldi.
In una immagine allegata trovate il procedimento per trovare la configurazione di minima superficie. È da notare che il volume occupato dalla celletta non dipende da x: al variare di x, tanto volume viene perso all’esterno di AB quanto ne viene guadagnato all’interno.
Nel 1743 Colin Maclaurin (sì, quello della serie), non soddisfatto dei risultati di König che non combaciavano perfettamente con le misure di Maraldi, riprese in mano il problema e, con metodi geometrici,² trovò che gli angoli dei rombi che minimizzano l’area sono effettivamente quelli misurati da Maraldi. Ma allora da dove veniva l’errore di König? Pare che la colpa sia da attribuire alle tavole dei logaritmi che aveva usato.³ Fatto unico nella storia, un errore matematico fu rivelato dalle misure di una celletta di alveare.
I rombi che formano il fondo delle cellette sono simili come già detto a quelli che compongono un dodecaedro rombico, che tra l’altro è uno dei cinque “paralleloedri”, poliedri che possono essere traslati senza ruotare nello spazio e riempirlo senza lasciare spazi vuoti. Questi solidi sono stati identificati da Evgraf Fëdorov (1853-1919) nel 1885, e comprendono anche i parallelepipedi, i prismi esagonali, il dodecaedro allungato e l’ottaedro troncato.
C’è da aggiungere che, come mostrato da László Fejes Tóth (1915–2005) nel 1964, a parità di volume tra due prismi a facce esagonali, la superficie è ancora più piccola quando il fondo è costituito non da tre rombi con gli angoli misurati da Maraldi ma da due rombi e due esagoni. Ma le api evidentemente preferiscono i rombi. Come scrive lo stesso Tóth, con un fondo costituito da due rombi e due esagoni il risparmio di superficie è meno dello 0,35%. Considerando il fatto che le pareti delle celle non sono uniformi il “risparmio” è alquanto illusorio, e la soluzione adoperata dalle api è sicuramente più semplice.

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pasquale.clarizio

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